La sagra, la Siria e l’Iraq

MosulLA SAGRA LA SIRIA E L’IRAQ

Lo scorso anno abbiamo voluto aiutare i cristiani scappati da Mosul (Iraq) e rifugiati a Erbil (nel Kurdistan iracheno).
Lo abbiamo fatto tramite l’AVSI, che opera in Iraq in collaborazione con la Caritas del posto e in Siria in collaborazione con la Custodia di Terra Santa.
L’aiuto è stato indirizzato a tutti quelli che, con grande fatica e a rischio della vita, cercano di continuare a stare sul posto con le loro famiglie.
Soprattutto abbiamo a cuore la sorte di tanti cristiani che hanno visto o subito la persecuzione e che vivono i disagi di una guerra che si svolge con estrema violenza, senza alcun rispetto della vita dei civili.
Papa Francesco, lo scorso Venerdì Santo, ha pregato dicendo:
«O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo eretta nelle nostre sorelle e nei nostri fratelli uccisi, bruciati vivi, sgozzati e decapitati con le spade barbariche e con il silenzio vigliacco».
Anche noi non vogliamo dimenticare e soprattutto dobbiamo essere grati della testimonianza di tanti che hanno vissuto il martirio e che continuano a mostrarci una vita capace di sperare anche dove gli altri non sperano più.
Padre Duglas a Erbil, che è stato rapito e torturato e che ha subito attentati e la distruzione della sua chiesa dice:
«Gesù si è sacrificato per noi. Quindi, per prima cosa noi siamo cristiani quando le cose vanno male, non solo quando vanno bene. Secondo: dobbiamo smettere di lamentarci, perché Gesù ha offerto la vita per noi col suo sacrificio. E chi siamo noi per lamentarci? È un tempo di guerra, è un tempo di crisi e di persecuzione quello che stiamo vivendo ora. Personalmente mi hanno cacciato, hanno fatto esplodere la mia chiesa, mi hanno sparato a una gamba, ho perso la mia comunità, sono stato rapito per nove giorni, sono sopravvissuto a due attacchi con le bombe, sono ancora sopravvissuto a un attacco alla chiesa durante la messa: nonostante tutto questo, chi sono io per lamentarmi? (…)
Fratelli e sorelle, perché i cristiani esistono ancora nel mio paese?
Semplice, perché noi apparteniamo a Cristo, non a questa terra. Io non sono sorpreso dal fatto che ci attacchino, ma sono sorpreso per il fatto che la mia gente ancora sopravvive. E noi sopravviviamo perché apparteniamo a Gesù».
Padre Ibrahim, francescano parroco ad Aleppo, ha la parrocchia in mezzo alla distruzione e, in un’intervista dello scorso febbraio, raccontava: «Il risultato dei bombardamenti, incessanti, è sempre lo stesso: morte e distruzione di case. Siamo scoraggiati perché avevamo appena finito di riparare i danni dei missili caduti il 12 aprile 2015, quando sono arrivate queste nuove bombe, distruggendo nuovamente quello che abbiamo appena riparato. Il missile che è caduto direttamente sulla succursale ha forato il tetto, colpendo la statua della Madonna, il campanile e alcuni depositi di acqua, nuovamente installati. La statua della Madonna è stata ridotta in mille pezzi e potete immaginare il nostro dolore: il volto della Vergine in frantumi in mezzo alla strada, oltraggiato. Mentre l’altro missile è caduto per la strada, danneggiando l’entrata della succursale e ammazzando due uomini cristiani, senza risparmiare gli edifici. Abbiamo ascoltato l’esperienza dolorosa delle mamme e dei padri di famiglie che ci raccontavano dell’accaduto e di come hanno vissuto, insieme ai loro figli, il terrore e lo spavento. Stiamo cercando di stare vicini alla nostra gente, che bussa alla nostra porta cercando aiuto. I lanci di missili da parte dei gruppi jiahdisti, come risposta all’avanzata delle forze governative e dei loro alleati, è continuata. Ancora una volta, siamo stati colpiti al cuore. Le esplosioni hanno interessato il quartiere di Midaan, la zona a maggioranza cristiana. La distruzione è stata totale: i poveri abitanti rimasti sono nuovamente senza casa. Noi però non ci arrendiamo. Siamo tribolati ma non schiacciati. Alle case danneggiate che abbiamo visitato abbiamo distribuito subito scatole di alimentari di emergenza e abbiamo iniziato a riparare. Per me, in questa situazione, non restano che l’accoglienza e l’ascolto. Dopodiché, bisogna passare subito all’azione: non si può rimandare all’indomani. Il lavoro però è immenso e così anche le necessità».
Con il guadagno della nostra sagra li aiutiamo a resistere e a vivere a casa loro e aiutiamo le loro comunità.
Le persone abbastanza ricche sono tutte scappate da quei posti. Sono rimasti quelli che hanno delle ragioni per restare o che non sono in grado di andare via.
La perdita di queste comunità sarebbe un disastro sia per la storia attuale che per quella futura della terra siriana, e sarebbe certamente un disastro anche per noi.
don Carlo Gervasi

Seconda osservazione. Un pullman pieno di studentesse, per un colpo di sonno dell’autista, esce di strada vicino a Barcellona.
Morti ingiuste di persone innocenti.
Come in tante altre situazioni.
Chi ci libererà da questa infinita ingiustizia umana?
O siamo uomini veramente religiosi e riconosciamo il Signore che ha condiviso il dolore dell’uomo riempiendolo di redenzione e che ha vinto la morte con la Risurrezione, oppure vince il nulla e resta solo, come diceva Eliot, «l’usura, la lussuria e il potere» e la violenza per ottenerli.
Terza osservazione, rischiando un parziale e provvisorio giudizio politico.
La situazione disastrosa dell’Iraq è figlia dell’intervento occidentale e degli alleati arabi per abbattere Saddam Hussein.
La folle guerra della Siria è iniziativa della coalizione guidata dagli Usa e appoggiata da alcune dittature arabe per rovesciare il dittatore Assad.
Ma anche se lo scopo fosse giusto (tutto da dimostrare), per abbattere un dittatore si fanno 250.000 morti?
Tanti dovranno rispondere di fronte a Dio.
Questi interventi hanno generato l’Isis e provocato la più grande persecuzione di cristiani dei tempi moderni, l’esodo dei profughi mediorientali.
Ultima la Libia, ridotta così da noi europei (soprattutto i francesi) dopo l’intervento per eliminare Gheddafi.
Si possono dire anche le cose scomode?
Ma allora diciamo che forse siamo causa noi occidentali di una buona parte di queste guerre, violenze, ingiustizie.
E abbiamo procurato e finanziato le situazioni per accendere il fuoco di questi folli terroristi islamici. Che cosa possiamo fare ora?
Ognuno ha una sua responsabilità e un suo compito. Nel mondo c’è molto altro oltre a quello che abbiamo già detto in questo testo.
Ed è un molto altro di bene, di persone che seguendo il proprio cuore costruiscono, cercano, vogliono bene, danno la vita, aiutano.
Di questo abbiamo bisogno: di una grande ricostruzione umana e di chi la sostiene.
Qual è il vero sostegno?
Poco tempo fa un “collega” sacerdote mi ha detto «Ma fate ancora la sagra di san Marco?
Non è ora di finirla (sottinteso: finirla con queste cose ormai superate)».
Gli ho raccontato che cos’è la sagra, soprattutto per noi che la facciamo.
Il nostro mondo ha proprio bisogno di luoghi belli, che aiutino la vita e la convivenza, dove poter star bene.
La nostra sagra ne è un esempio, per questo siamo contenti di farla.
Per questo è giusto appoggiare, sostenere, aiutare, tutte le iniziative, da qualsiasi parte vengano, tutti i tentativi che ripropongono, senza paura, una grande umanità.
Una umanità che noi abbiamo imparato vivendo l’esperienza del cristianesimo.
«Noi costruiremo con mattoni nuovi. Vi sono mani e macchine e argilla per nuovi mattoni.
E calce per nuova calcina (…)
C’è un lavoro comune, una Chiesa per tutti e un impiego per ciascuno. Ognuno al suo lavoro». (T.S. Eliot)
don Carlo Gervasi

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