La violenza bestiale del terrore

la-violenza-del-terroreLA VIOLENZA BESTIALE DEL TERRORE: GUARDANDO CON GLI OCCHI DEL CUORE E DELLA FEDE
Siamo rimasti tutti scossi da quella terribile violenza. Accadono crimini spaventosi in tante parti del mondo, ma questa volta è stato diverso perché è come se fosse accaduto vicino a casa nostra, per mezzo di un nemico che ci dice: «voi non valete niente, la vostra civiltà non vale niente, vogliamo abbattervi». Il capo del gruppo terrorista, Abdelhamid Abaaoud, aveva dichiarato: «è bello veder spargere il sangue degli infedeli». Molte persone sono state uccise a una a una, sistematicamente, sorprese in momenti di vita normale (stadio, ristorante, concerto), non in un teatro di guerra. Un attacco alla ragione, alla nostra cultura, alla libertà, al valore della persona, a tutto. Per questo tanti sono spaventati. E tanti, fino ai livelli più alti, hanno reagito nel solito modo istintivo: «gliela faremo pagare», «li spazzeremo via».E poi in tanti ci siamo messi a fare le nostre analisi sulla situazione politica internazionale, a dare i nostri giudizi su chi ha torto e chi ha ragione, sull’islam e sui suoi folliestremisti.
Certo che è giusto e ci si deve difendere, ma in mezzo a tutto questo ci sono state voci diverse, umane, drammaticamente belle: mi hanno colpito per la loro verità.
Quel sabato mattina, un pianista parigino ha trainato con la bicicletta un pianoforte a coda nei pressi della sala teatro dove sono state uccise la maggior parte delle persone e ha iniziato a suonare: di fronte al male, ha affermato una domanda e una speranza di bene e di bellezza, l’invito ad una compagnia umana buona.
Poi è arrivato il post di Antoine su Facebook, che ha trovato immediata condivisione e diffusione in tutto il mondo. Antoine è papà di Melvil, bambino di 17 mesi, e nella carneficina del Bataclan è morta sua moglie, la mamma.
Ha scritto rivolgendosi ai terroristi:
«Venerdì sera avete rubato la vita di un essere eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, ma voi non avrete il mio odio.
Non so chi siete e non voglio saperlo, siete delle anime morte. Se questo Dio per il quale voi uccidete ciecamente ci ha fatto a sua immagine, ogni proiettile nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. Allora non vi farò questo regalo di odiarvi … Voi volete che io abbia paura, che guardi i miei concittadini con un occhio diffidente, che sacrifichi la mia libertà per la sicurezza.
Avete perso … Naturalmente io sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma sarà di breve durata. So che lei ci accompagnerà ogni giorno e che ci ritroveremo in quel paradiso delle anime libere a cui voi non avrete mai accesso (…)»

Ascoltando un uomo che esprime una umanità così, mi èvenuta voglia di conoscerlo. E ho pensato: da chi ha imparato? Con che compagnia di gente vive? Ecco, essere veri genitori, maestri, educatori, capaci di trasmettere umanità, vuol dire tirar su uomini che possano avere un cuore così: in grado di riconoscere sempre che siamo fatti per il bene e che lo desideriamo.

E poi che la prospettiva vera dalla quale guardare alla vita non è quella di ciò che è successo adesso o domani e basta, ma è quella della vita intera, dell’eternità, di una salvezza che ci è stata promessa, altrimenti non potremmo che essere schiavi delle ingiustizie subite.
Sébastien, invece, è rimasto bloccato all’interno del Bataclan, ha visto il massacro, ha salvato la donna appesa all’esterno del davanzale, si è nascosto, è stato preso in ostaggio dai terroristi, ha passato un’ora con le armi puntate contro, ha parlato con loro fino all’irruzione delle forze speciali. Intervistato, tre giorni dopo, da radio RTL, gli è stato chiesto che cosa aveva imparato da tutto quello che gli era accaduto. Ascoltiamolo.
«Che cosa avete imparato Sébastien? Che la vita è appesa a un filo, che c’è bisogno di apprezzarla, e che non c’era niente di più serio del fatto che eravamo ancora vivi. E dagli aggressori? Avevano bisogno di un ideale e il mondo occidentale in cui vivevano non ne offriva uno. E hanno trovato
un ideale mortifero, di vendetta e di odio e di terrore. E ad un certo punto hanno voluto salvare la propria vita prendendoci in ostaggio, ed è stata la
nostra salvezza, il fatto che ci tenessero alla loro vita. Ma hanno realizzato troppo tardi che la vita era importante. E io oggi posso rendermi conto
che ogni istante che passo con i miei parenti, è un bonus, una benedizione. I semplici momenti di una vita fanno parte delle cose più belle che possiamo avere, e di questo non ce ne rendiamo conto se non quando ci capitano delle sorti di elettrochoc come quello che ho vissuto. Ho l’impressione di essere nato una seconda volta e voglio fare in modo di gustare questa nuova vita che mi è stata offerta».
Ci fa venire in mente la domanda di Nicodemo a Gesù «Ma come è possibile che un uomo rinasca quando è vecchio?». Sébastien si sente rinato a
vita nuova. Abbiamo bisogno di rinascere, di riconquistare la vita così che ogni istante possa avere un valore infinito, eterno. Nell’incontro con Gesù è di questo che si fa esperienza. Ed è proprio vero che la vita è appesa a un filo. Accorgersi di questo, se la nostra vita ha una “di rezione decisiva”, ci mette dentro una avventura umana, dentro un’urgenza di condivisione e co struzione del bene.
Se invece la nostra vita è persa nel non-senso, nel fare e basta, nella dittatura delle emozioni, allora possiamo essere preda della paura, del panico,
della depressione, della disperazione. Sébastien ha affermato anche, lucidamente, che i terroristi (lui li ha incontrati, ha parlato con loro, li ha visti agire, è tutta gente cresciuta da noi, in occidente) “avevano bisogno di un ideale e il mondo occidentale non ne offriva uno. E hanno trovato un ideale mortifero”.
Non lasciamo perdere questo giudizio su noi tutti.
Certo, da noi ci sono anche tante persone buone, iniziative di grande umanità, ma chi arriva in occidente che cosa vede? Chi incontra? Che ide ale grande gli è proposto? La risposta a queste domande è la vera sfida a noi, alla nostra fede, alle nostre comunità. Da ciò che saremo capaci di testimoniare dipende il futuro nostro e dei nostri figli. Perché deve essere possibile dire a chiunque:
«Vieni a vedere!», come Filippo si era rivolto a Natanaele per invitarlo ad incontrare Gesù: «Vieni e vedi» (Gv 1,46).
Le nostre comunità cristiane devono diventare, devono essere questi luoghi dove si possa dire: vieni a vedere. Allora saranno di aiuto per tutti e per ognuno.
don Carlo Gervasi

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